Ho iniziato a praticare yoga 6 mesi fa, era maggio e affrontavo un periodo difficile fisicamente ed emotivamente.
Avevo bisogno di riprendere coscienza di me, di gestire emozioni contrastanti nel modo meno aggressivo possibile e l’istinto mi ha guidata verso questa disciplina. Avevo fatto qualche lezione anni fa, ma in modo decisamente superficiale e poco approfondito.
Premesse doverose: sono una persona molto pratica e diffidente, difficilmente credo in quello che non vedo specialmente se si va a toccare la sfera spirituale. Mi sento di dover dare questa premessa perché non voglio leggiate le mie parole come se uscissero dalla tastiera di un’invasata hippie, ma di una persona che si è avvicinata allo yoga anche perché in possesso della flessibilità di un comodino e spesso vittima di mal di schiena.
Ho fatto la mia prova con un’insegnate consigliatami da una cara amica, e sarà stata l’atmosfera iper familiare, la sua voce pacata ma decisa, la grande abbondanza di incenso (non so voi, ma io sono fiera supporter del #teamincenso) ma la scintilla è scoccata, mi sono subito iscritta e per i sei mesi successivi ho praticato con lei 1/2 volte alla settimana, agosto compreso.
Dettagli tecnici:
Lo Yoga è una disciplina dalle varianti infinite, quella che pratico io è l’Hatha Yoga, lo yoga della forza, quello meno acrobatico (ricordate il comodino?) e più fluido.
La lezione si divide in tre parti:
- Una prima parte dedicata alla respirazione, alla presa coscienza del respiro e al completo distacco dall’ambiente circostante e dai pensieri positivi o negativi che siano.
- Poi si passa alla parte delle asana, le posture vere e proprie che hanno messo a dura prova i miei muscoli semi atrofizzati. Per farvi rendere conto della situazione, alla mia prima lezione non solo non arrivavo a toccare l’alluce con le mani, ma avevo difficolta ad arrivare alla caviglia. Tra saluti al sole, saluti alla luna, barche, aratri e coccodrilli (sono tutte posture, giuro!) la seconda parte della pratica riscalda il corpo mettendolo in connessione con la mente. La respirazione, come nella prima parte, è fondamentale e sempre in primo piano. Il respiro, nella maggior parte dei casi è sempre profondo, lento e soprattutto consapevole.
- La terza parte è di rilassamento, il corpo si ferma e la mente con lui, impulsi di riposo vengono lanciati e per 10 minuti ci siete solo voi e il vostro respiro.
Come sono cambiata in questi 6 mesi?
Anche se sono solo 6 mesi che pratico posso dire con certezza che i cambiamenti ci sono stati, o meglio dovrei dire i miglioramenti.
Partiamo dall’aspetto fisico, che ha incrementato in forza e flessibilità (riesco a toccare gli alluci, alleluia!), il mal di schiena non ha ancora fatto capolino nonostante il freddo e ho aumentato la resistenza fisica.
Ma il piano che più mi ha dato soddisfazione è quello psico-emotivo, un continuo crescere di consapevolezza e stabilità che pur avendo certo bisogno di continuare ad essere coltivato, è migliorato in modo esponenziale da maggio ad oggi.
Attacchi di panico, ansie, malesseri e cattivi pensieri non sono spariti, ma sto imparando a gestirli in modo diverso, a guardare i problemi stessi sotto una luce diversa e affrontarli con uno spirito nuovo.
Il week end che si è appena concluso a Milano c’è stata la 12° edizione dello Yogafestival, una 3 giorni tutta dedicata a il mondo dello yoga che quest’anno aveva come tema il suono, la musica e le vibrazioni. Ho partecipato alla giornata di venerdì insieme a Tatiana (se non conoscete il suo blog, conoscetelo) e l’esperienza è stata davvero entusiasmante.
Non ho partecipato a nessuna lezione, ma ho potuto parlare con numerosi addetti del settore e l’amosfera che si respirava era carica di energia e positività. Tra le varie storie, aneddoti e momenti che ho vissuto quello che più mi ha colpito e cui ripenso ancora è accaduto nell’ashram in città, una ricostruzione di un vero ashram indiano dove una sacerdotessa spiegava i concetti alla base dello yoga davanti ad un altare al dio Ganesh.
Ganesh, metà uomo e metà elefante viene raffigurato sempre in una posizione particolare, ovvero con un piede a terra mentre l’altra gamba è accavallata e sollevata.
I problemi che ci affliggono spesso sembrano insormontabili, dolorosi e totalizzanti perché li guardiamo dalla prospettiva sbagliata. Ganesh ha un piede a terra, nel problema, mentre l’altro è sollevato, staccato dalla situazione e la guarda con un occhio oggettivo.
Per affrontare i problemi nel modo migliore dovremmo sì viverli sulla nostra pelle per quanto negativi, ma affrontarli guardandoli da lontano per vederli per quello che sono, senza il velo della paura e del giudizio.
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